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In questa raccolta il quarantenne triestino Manuel Paolino raccoglie la produzione di un quindicennio di poesia a raccontare come in un diario, nell'avvertenza della introduzione, il suo apprendistato d'amore e di uomo, di poeta nella passione di una parola che sappia nelle sue incisioni infiammare e informare. Così in un centinaio di testi possiamo perderci negli scioglimenti di un percorso in formazione che, tra riferimenti al simbolismo di un verso tra sensualità e oscurità di un sentire mai sazio (Rimbaud, Mallarmè, gli amati Baudelaire, Poe, Lorca) e desideri di mitologie e disincarnazioni fuggiasche ed epiche così care a tanta poesia latino-americana (ma anche orientale nelle evocazioni e nelle suggestioni del Tempo), si risolve in una meditazione sulla figura del poeta come iniziato, come indagatore (continuo è lo sguardo, il dialogo col Corpus Hermeticum del Trismegisto) a cui però non è data conoscenza (che brucia) ma servizio (come prolungamento "della luce del Sole" o come coperta "quando si fa notte"). Ed allora questo canto nella gioventù del suo prestito non può che scorgersi nella reverenza di una terra che reclama attenzione- e aderenza- nella fragilità del frutto ("cosa vi è di più esposto?"), cui dare riflesso- e voce- nella cadenze del giorno. La declinazione è quella della istanza, inseguita, bramata, perseguita entro le tracce di un desiderio che ha nello smarrimento, nel suo rischio, l'indice di una umanità ancor viva (come l'orchidea dell'omonima poesia) pur nelle secche degli sradicamenti. Ed è poesia di creaturalità nella carnalità di una libertà vezzeggiata e carezzata grazie anche a un uso ricco e attento di una parola piena, densa per riconoscimento e prossimità con gli uomini e le cose a dire dunque di un dettato autentico, di una scrittura che sa attendere e catturare come da un girasole (da uno "sconfinato nulla/fatto sui muri di storie") nella sua conta di vita. Il verso infatti non fa, non sa che accompagnare questo gioco di luci e penombre (avendo senso in questo) nelle visitazioni quotidiane e notturne, nella misura di un percorso o per meglio dire di un pellegrinaggio a cui comunque preparare il ritorno. Per questo forte è l'aderenza alla natura (nel suo ricordo di "cos'è il respiro/ che rinasce dal passato"), al paesaggio nelle dinamiche di risonanze dei corpi e degli spiriti, di presagi e di remissioni che il canto si sforza di catturare ("Terra sui poeti tra i grandi seni./Non dormono ma ascoltano/Un verso sempre lo stesso"). Eppure è proprio qui il discrimine della perfetta riuscita (se mai possibile), della resa al lettore di una visione che sappia dirlo nel medesimo riconoscimento, nell'interrogazione del comune mistero che è nei giorni. Infatti Paolino indugiando nel dialogo coi maestri, negli ammiccamenti di genere tra figure e rimandi di poesia nera (tra dannazione e perdita) rischia sovente di inficiare l'originarietà di una voce che pure esiste, resta ed è certa nelle corde di una liricità sempre viva che lo salva consegnandolo a una commozione, a un riconoscimento che di quegli stessi modelli, appresa la lezione, evidentemente sa far meno. Pensiamo tra gli altri a testi come "Libète", "I larici di ghiaccio", "Versi antichi" o a "Prima del crepuscolo", soprattutto, esempio di una ispirazione e di una aspirazione d'assenza che cerca nei varchi di "felicità/interrotte" luce e pace dai propri enigmi, dalle proprie irrisolte e fuggevoli distanze ("Scorgo/ la mia vita/ tra quelle montagne/ disegnare con le loro curve/ sul tiepido abbaglio/ in discesa/ di un sole/ a metà// Prepotente ora/ dal cielo emerge/ e mi vince/ in un abbraccio di luce"), di un movimento dunque che ove non cede alle suggestioni dell'ebbrezza sa finalmente sciogliersi e trovarsi, come nella sinestetica "Colori", entro una vita ed una notte "negra grande buona". Ed osservarsi nella direzione di una "poetica/ come la vita che smonto sempre/per ripartir dai luoghi/ degli eterni pezzi": l'amore, la famiglia, la casa nel "sogno puro/indagatore di purezza"; da quell'angolo da cui però infine lo sguardo continua a perdersi: "Lassù/quegli uccelli/come pesci negli abissi".

 

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